Il mito della montagna
Il punto di inizio del turismo montano può essere situato nel Settecento, in epoca romantica, che è alla base della nostra sensibilità contemporanea. Lì si è iniziato ad apprezzare la montagna, mentre prima pochissimi andavano in quota. A questo proposito Kant ci descrive l'incontro tra un contadino savoiardo e De Saussure, il primo a salire sul Monte Bianco. Il contadino, rivolgendosi a quello che sarebbe diventato il fondatore dell'alpinismo, disse “devi essere pazzo, che cosa vai a cercare?”. La risposta a questa domanda è duplice, è sia “vado a cercare risposte a dei quesiti di fondo sull'origine del nostro mondo” sia “cerco una bellezza nuova, moderna”. Una bellezza irregolare, pensando che la montagna veniva pensata come un luogo orrido, che però era associato anche al piacere: gli inglesi parlavano di un “agreeable kind of horror”, una forma di “orrore piacevole”. Questo fa parte della bellezza non classica della montagna, del suo fascino pericoloso ma seducente. Si parlava anche del fascino del detrito, qualcuno aveva per esempio associato la montagna a un “paradiso guastato”, il risultato di un crollo, forse del Diluvio. Il fascino della montagna era dunque associato anche alla ricerca delle origini del nostro pianeta, il che a mio avviso ha molta importanza anche oggi, per interrogarci intorno al cambiamento climatico. Da una parte dunque c'era l'interesse scientifico, dall'altra la seduzione di una bellezza senza forma, dissonante, col brivido. Poter chiamare bello oggi questo paesaggio non è quindi scontato: è solo da due secoli che si comprende questa bellezza.
I poeti, gli scrittori, i filosofi romantici, da Rousseau a Coleridge, per arrivare fino Foscolo e Goethe. Sono loro, con la loro generazione, ad apprezzare per primi questa forma di bellezza, che mantiene in sé l'elemento selvaggio. Chi veniva in Italia, passando in mezzo alle Alpi, si stupiva, perché fino a quel momento i passi montuosi venivano superati in carrozza con le tendine chiuse. Poi finalmente si cominciò ad aprire queste tende, e a capire che l'elemento selvaggio, pericoloso e infernale, conteneva una forma di bellezza sfidante, poco addomesticata, che venne definita “sublime”. Questo piacque alla generazione romantica, e questo può piacere e piace anche oggi.
Fino a fine Settecento la bellezza era basata sull'armonia e sulla regolarità geometrica, così come era presente nell'arte e nel paesaggio coltivato, bucolico, ameno. La sensibilità poi muta, per comprendere una bellezza non addomesticata. Quest'ultimo tema rimane ancora oggi, anche se abbiamo cercato di avvicinare sempre più la montagna: anche lo sci è stato un modo per avvicinare tante persone alla montagna. Ma credo che lo sci – che io amo – abbia gli anni contati, e che sia necessario pensare ad altre forme di turismo che tengano presenti questi due aspetti; da un lato l'acquisizione di un'estetica moderna, diversa, irregolare e sfidante, e dall'altro l'idea che in montagna, in quel grande laboratorio della natura, si trovano risposte globali. Non solo risposte scientifiche! Pensiamo ai tantissimi poeti che hanno scritto poesie dedicate alla montagna, concepita da un lato come un ambiente accogliente e materno, e dall'altro come un ambiente difficile, distruttivo.
Questo valore che ci arriva dai romantici va oltre i valori classici della montagna, come la fatica, la conquista la sobrietà, l'austerità. Tutte cose giustissime, ma occorre andare oltre, pensando all'esperienza della montagna come un'esperienza completa, globale, universale, che fornisce materiale per un turismo nuovo e consapevole come dovrà essere quello successivo alla pandemia.