Penso sia significativo che all'interno del ricco programma di BITM ci sia anche un evento dedicato al tema dello smart working in villeggiatura. Qualche giorno fa il dizionario Collins ha definito il termine “lockdown” come la parola più utilizzata a livello globale nell'ultimo anno, e penso che il termine smart working sia sicuramente subito dopo. In effetti questo metodo di lavoro ha cambiato la vita di tutti noi, soprattutto durante i due mesi del lockdown, quando la maggior parte dei lavoratori si è ritrovata a lavorare a casa.
Non dovremmo però tradurre smart working in “lavorare da casa”, quanto invece usareil termine “lavoro agile”. Se però riprendiamo l'esperienza della primavera del 2020, forse il lavoro da casa non è stato così semplice, così agile. Ci si trovava rinchiusi con tutta la famiglia in casa, e il lavoro non era dunque sempre agevole. Eppure si è trattato di una importante novità. In Italia, prima dell'esplosione della pandemia, erano poche migliaia i lavoratori del settore privato che utilizzavano lo smart working, con forme sperimentali. Con la pandemia sono nati anche dei problemi nel fare lo smart working, a partire dai problemi di natura tecnica, legati alla connessione, e dalla bassa formazione informatica. Ma un problema che voglio sottolineare è anche quello relativo a una mancanza che definirei di natura culturale: siamo ancora legati a due pilastri molto importanti del lavoro, ovvero lo spazio e il tempo. Si lavora negli uffici, e si lavorano le canoniche 8 ore. Spostare il dipendente a casa, senza un limite spaziale né temporale, vuol dire proporre un lavoro totalmente diverso. Questo ha portato anche a un calo della produttività: spesso anche all'interno delle aziende private non sono stati portati a casa i risultati cercati.
Da questo punto di vista bisogna cercare di creare delle nuove regole, oltre che una nuova cultura, perché lavorare da casa significa lavorare per obiettivi, essere più responsabili e fare un lavoro più intelligente. Tutto questo dovrà portare anche a misurare i risultati, ma soprattutto a creare un nuovo rapporto di fiducia tra l'impresa e il lavoratore. Va peraltro sottolineato che oggi nessun contratto di lavoro parla di smart working; pochi contratti, forse quelli di secondo livello, introducono la produttività, che generalmente è legata ai premi di produzione.
Personalmente però voglio credere allo smart working, e penso che la pandemia abbia aperto delle nuove frontiere. E condivido anche il pensiero che si potrà fare smart working in villeggiatura. Questo metodo di lavoro potrà portare molti benefici, meno stress, più benessere familiare, una maggior produttività (quando si lavorerà per obiettivi), nonché per l'appunto la possibilità di lavorare ovunque. È significativo in questo senso il grande incremento di domande di case di villeggiatura che si è conosciuto quest'estate in Val Brembana, la valle più vicina a Bergamo, colpita come sappiamo in modo peculiare dalla pandemia. E l'obiettivo è stato proprio quello di spostarsi lì a lavorare, così da poter contare su un bel contesto.
Tutto questo porterà a riprogettare in maniera intelligente i luoghi di lavoro, nonché le città. La speranza è che lo smart working diventi davvero un lavoro intelligente, e che questa sia un'occasione per ripensare l'azienda, per far guadagnare in produttività il nostro Paese, e per umanizzare il mondo del lavoro.