Le opportunità della crisi pandemica
Non siamo abituati a considerare la crisi come un'opportunità. Ogni evento ci insegna però qualcosa, e per questo ho provato a ragionare sull'estate che abbiamo alle spalle. Le questioni chiave che sono state poste da questa pandemia sono note. Si è trattato della prima vera pandemia globale, con una diffusione rapida ed estesa. La vera novità di questa diffusione pandemica è stata la presenza, particolarmente pericolosa, degli asintomatici. Il fatto di avere a che fare con un problema globale, però, ha aiutato e sta aiutando anche a trovare dei punti di contatto, a prendere la cosa sul serio. È stato inoltre evidentemente forte l'impatto economico e sociale della pandemia; la maggior parte degli sforzi è volta a ridurre i danni economici causati dall'emergenza sanitaria, mentre è più difficile e più faticoso gestire il danno sociale. Non si può sottovalutare l'impatto psicologico, e in questo caso possiamo pensare anche all'impatto psicologico sui turisti e sugli operatori turistici. Ma la pandemia ha messo al centro soprattutto la sfida di prendere delle decisioni in mancanza di un quadro di riferimento stabile: è quello che noi economisti chiamiamo “Paradigma dell'incertezza”. Le imprese e le istituzioni sono abituate ad affrontare un'altra situazione, il rischio, confrontandosi con modelli previsionali e schemi, valutando le alternative e quant'altro. La pandemia, invece, ci pone di fronte all'incertezza.
Guardando agli effetti, sappiamo che il turismo è stato colpito particolarmente dalla pandemia, che sembra fatta apposta per contrastare questo settore. Il turismo è infatti un insieme di flussi di persone che si spostano alla ricerca di svago, di benessere e di apprendimento. La pandemia è andata ad agire sui fattori costitutivi del turismo, e quindi sulla mobilità, sulla possibilità di aggregazione, sulla disponibilità di servizi, sulla propensione al viaggio del turista, sui modelli di business degli operatori e sulle prospettive del futuro. E anche quest'ultimo punto pesa tantissimo, perché come sappiamo, anche se ce lo dimentichiamo spesso, il turismo ha bisogno di investimenti e di pianificazione.
L'estate scorsa è stata prima di tutto l'estate dei divieti, anche per il turismo di montagna. Divieti condivisibili, anche se non da tutti. Dal negazionista fino a chi sostiene che “a certe condizioni si potrebbe fare”, la pandemia ha evidenziato la capacità di spaccare l'opinione pubblica, creando grandi divisioni, anche su tematiche che dovrebbero essere largamente condivise.
Tutto lasciava presagire che divieti, protocolli e divieti di superare i confini azzerassero il turismo. Molte previsioni parlavano di un'estate turism free, libera dal turismo. È andata in modo completamente diverso, è stata l'estate delle code in montagna. Per quale motivo questi turisti hanno scelto la montagna? Perché la montagna risponde a dei bisogni fondamentali del turismo, ma anche e soprattutto perché la pandemia ha esaltato la dicotomia fra la solitudine e la massa. Dapprima settimane caratterizzate dall'isolamento, e poi, caduti i vincoli, l'arrivo inatteso dei turisti in massa.
Cosa ci ha insegnato la pandemia? La prima cosa che ha contribuito a ricordare è che il turismo ha un impatto fortissimo sull'economia, sulla società e sullo sviluppo. Ha inoltre messo in luce che servono forti capacità di gestione e di controllo del territorio e del turismo, non ultima la necessità di non banalizzare la montagna “sacrificandola” al turismo di massa, per creare soluzioni, non problemi.