Una rassegna come questa che raggiunge la XXII edizione è qualcosa di vivo, che si inserisce bene nel territorio, che viene considerato come una ricchezza dal territorio, il che non è semplice.
Cosa porto a casa da questa mattinata? Il tema del cambio del paradigma, che rischia di diventare un luogo comune, ma che poi scopriamo essere concreto, reale; non solo dal punto di vista del cambiamento climatico. Aggiungo anche il tema dell'indissolubile rapporto tra locale e globale; oggi tutti i fenomeni, anche quelli che hanno una scala locale, hanno comunque delle implicazioni a livello globale, lo ha messo in evidenza anche la pandemia. E ancora, un'altra parola chiave che mi porto a casa è il superamento della monocultura. La monocultura del turismo ha promosso questo territorio, lo ha fatto progredire, e sicuramente parliamo di un territorio ricco, che si è fondato per molti anni sul turismo e che continuerà a farlo. Penso anch'io che questa concezione dello sviluppo sia da superare, per andare verso una direzione più sostenibile e più equilibrata, che tocchi più aspetti. La montagna è un ecosistema, in cui il turismo è una componente importante. Ma ci sono anche le imprese, a proposito delle quali è bene ricordare il fenomeno del reshoring, del reinsediamento dell'impresa nei territori più vicini a quelli in cui collocano i propri prodotti. Per anni si è parlato di delocalizzazione, che è un fenomeno ancora molto importante, per molti aspetti negativo: in Emilia stiamo per esempio vedendo la decisione di un'azienda di chiudere lo stabilimento, situato peraltro in montagna, per trasferirsi all'estero. Stiamo però vivendo anche un fenomeno diverso; a seguito della pandemia si è visto anche che la catena di valore troppo lunga può essere un limite, dal punto di vista della prosperità delle imprese stesse. Si sta quindi cercando di accorciarla, avvicinando i luoghi della produzione, del marketing e della commercializzazione. Allora probabilmente dobbiamo pensare che anche la montagna possa essere un luogo di reinsediamento delle imprese, e può essere un fattore positivo.
Poi c'è il tema del lavoro, del buon lavoro, che sia contrattualizzato, che abbia un'adeguata formazione, nel quale si possa esprimere il meglio e ci sia sicurezza. Questo è un aspetto che fa anch'esso parte dello sviluppo e del superamento della monocultura dello sviluppo della montagna. Ci sono poi i servizi, le istituzioni, la scuola, i trasporti, il welfare, la digitalizzazione e le reti materiali, che in montagna hanno una situazione di debolezza.
In definitiva penso che non ci possa essere turismo in un territorio abbandonato da chi lo abita, da chi ci lavora, da chi vuole fare un progetto di vita in questo territorio. Un turismo responsabile e di qualità non si può inserire in un territorio abbandonato, dove non c'è accoglienza. Da tutta la riflessione di questa mattina escono delle idee molto chiare di una visione turistica completamente diversa da quella che abbiamo vissuto. Non solo qui: un suggerimento che non consiglierei di seguire è per esempio quello della riviera romagnola.
Parlo di un turismo come voglia di vivere un territorio, di capirne gli usi e i costumi, di vivere in osmosi con la popolazione stessa. Peraltro tutto il tema dello smart working ha nella montagna un possibile punto di aggancio, se sarà effettivamente possibile svolgere il proprio lavoro da casa propria o in vacanza, aspetto che potrebbe prolungare la villeggiatura.
Ripensare il territorio sotto questi aspetti chiama in causa il ruolo delle istituzioni e delle imprese. Di imprese che pensano al territorio come a un organismo vivo ne abbiamo bisogno, e saranno chiamate a svolgere un ruolo di questo genere. E poi c'è il ruolo delle parti sociali, perché come si organizza la società locale, come lavora, come mette a frutto i valori comuni, è dato dalle organizzazioni di rappresentanza che essa si dà. Anche loro sono chiamate a un surplus di riflessione e di innovazione dal punto di vista del proprio pensiero e della propria azione.