Per noi è davvero un grande piacere aver seguito fin dalla prima edizione, con forte partecipazione, la BITM. Ricordo quando, in Piazza Fiera, si organizzarono dei luoghi per poter creare delle dimensioni di partecipazione, ad esempio con delle piccole scalate.
Per noi, come museo, questo rapporto con la dimensione turistica è diventato molto importante. Certo, è vero che un museo è un luogo di ricerca, di partecipazione e di comunità. Però è anche vero che, soprattutto quando su un museo vengono fatti degli investimenti pubblici, come in questo caso, scattano anche altri elementi valoriali, a partire dalla capacità di creare relazioni con il sistema turistico, non soltanto con il turista, ma con l'insieme del sistema che produce ed elabora il turismo, dal pubblico al privato. Questo è diventato un elemento interno al nostro modo di procedere.
Anche nel mondo culturale che si muove in questa dimensione, e in quello museale in particolare, ci si interroga molto sulla dimensione postpandemica. È diventato ora così facile organizzare dei webinar e dei congressi. Una volta bisognava metterci di mezzo l'aereo, gli alberghi. In questi giorni mi è capitato di avere tanti convegni su questa dimensione, a livello nazionale e internazionale. In questi convegni ci si interroga sul retaggio di una pandemia, domandandosi se c'è stato un cambio di paradigma. All'inizio, in qualche maniera, alcuni di noi hanno guardato con una sorta di hybris a questo fenomeno, e quindi quello che si stava ricercando - nelle parole di Alexander Langer un turismo lentius, profundius, suavius, ovvero un turismo più lento, più profondo e più soave - poteva essere assolutamente utilizzato come elemento rafforzativo.
Se noi osserviamo quello che sta succedendo in quest'autunno a noi e ad altre destinazioni, dove c'è stata una sorta di allargamento almeno a livello italiano, vediamo che c'è stata una ripresa delle modalità quasi rafforzate, con l'iper-presenza, con l'over tourism che si è ripresentato immediatamente nelle nostre città. Quindi da un certo punto di vista ci dobbiamo davvero impegnare a ritrovare questi elementi fondamentali di questi paradigmi che tra l'altro si inseriscono in una logica molto ampia, che è quella che abbiamo vista riaffermata, forse malamente, a Glasgow in questi giorni, e molto meglio inquadrata a livello di G20 nell'anno italiano.
Questo è un momento forte, a mio giudizio, per riflettere su tali questioni. Pensiamo alla concentrazione che siamo riusciti a darci, no vax a parte, sul tema importante come è stato quello della pandemia. Facciamo in modo che questa concentrazione, questa capacità di fare che ha caratterizzato la nostra società, la si sappia utilizzare su altri temi forti, a partire dal cambiamento climatico (sapendo che questo si risolve anche con i grandi trattati, ma come letture complessive del nostro rapporto con il nostro modo di vivere, con il nostro outdoor e con il nostro tempo libero) e su questo troveremo di nuovo elementi di ricerca e di riaffermazione di un modello che stiamo cercando da anni e che non possiamo ri-perdere, nascosto da un recupero di un “libera tutti” che potrebbe davvero offuscare un percorso che abbiamo portato avanti in tanti anni.