Siamo in una fase molto critica, è una crisi trasversale, che come è stato detto tocca tutti i settori della società e della vita contemporanea. Non poteva non toccare l'aspetto dell'agricoltura, mi trovo molto d'accordo con quello che ha detto il direttore Tomasi. Stiamo attenti a non entrare nella logica del mito di Heidi: l'alpeggio ha sicuramente un grande fascino, e questo elemento può rappresentare un valore aggiunto per un turismo consapevole, intelligente, alla ricerca di autenticità.
Non dimentichiamo che la stessa parola Alpi, che indica la catena montuosa più importante d'Europa e direi quasi del mondo, deriva da “alpe”, che significa “pascolo”. L'elemento identitario più forte della montagna alpina è il pascolo, ed è un aspetto su cui bisogna riflettere. Negli ultimi anni, soprattutto nella tarda modernità, questo mondo dell'alpe era stato visto come la rappresentazione del mondo di ieri, un mondo che rischiava di essere cancellato da un'ipermodernità, come direbbe l'antropologo Marc Augé, che tende a omologare e a livellare. Per fortuna non è stato così. Oggi c'è un nuovo interesse nei confronti dell'alpicoltura, che contribuisce a costruire un paesaggio culturale. I contadini, gli allevatori sono intervenuti nel corso dei secoli a modellare l'ambiente naturale, e quindi a costruire un paesaggio, che ha un fascino e una forte attrattività. È un mondo che certamente rischia in questo momento di attraversare una crisi importante, perché il ritorno dei grandi predatori rappresenta per l'agricoltura un pericolo. Non lo dico io, lo dicono grandi studiosi di alpicoltura. Il problema va gestito, va governato, perché si rischia l'abbandono dell'alpeggio, se dovessero verificarsi situazioni di ulteriore criticità. Un conto è una visione di una montagna idealizzata, che si ispira a un ambientalismo ideologico, un'altra cosa è una montagna reale, che si ispira a un ambientalismo scientifico, esperienziale, non declinato secondo una logica astratta e ideologica.