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XXIV BITM - L'intervento di Bruno Zanon

Categoria: Tutela del territorio

Anno: 2023

XXIV BITM - L'intervento di Bruno Zanon

Relatore: Bruno Zanon - Docente di Tecnica e pianificazione urbanistica, Università degli Studi di Trento

Tag associati: SostenibilitàSviluppo economicoResidentiStatisticheInfrastrutture


Il Trentino oggi è anche l'esito di un processo di pianificazione territoriale che si è sviluppato nel corso dei decenni recenti. Nel bene e nel male, in Trentino la pianificazione ha pesato molto, e ha pesato soprattutto il ruolo del territorio. Lo vediamo nelle osservazioni sulle dinamiche territoriali, sulle aree interne. Se guardiamo su scala locale, il popolamento è per esempio cresciuto nel dopoguerra, a differenza di quello che è successo nell'intero arco alpino meridionale.

Pensando al territorio non dobbiamo pensare solo allo spazio delle azioni che svolgiamo o alle cose che trasformiamo quotidianamente. Si parla invece di un progetto collettivo, che si attua attraverso azioni di costruzione di uno spazio che abbia un senso, che sia coerente con il modello di vita della società locale. Quello che vediamo del territorio trentino, oggi, è quello che è stato costruito nei secoli ma anche negli ultimi decenni. Negli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta era in atto un progetto di deterritorializzazione; il territorio montano stava perdendo di significato, non era più in grado di mantenere le sue comunità. Quello che vediamo oggi nel bene o nel male è quello che si è fatto allora. Ci sono delle aree problematiche, degli interventi discutibili.

Ripensando alla storia della pianificazione in Trentino dobbiamo leggere alcune vicende in parallelo. Come la spinta dello sviluppo economico, sapendo che la montagna non dava più da vivere, allora andavi a fare il muratore in Germania o il minatore in Belgio per poi scoprire che le risorse della montagna potevano ancora sostenere la comunità. Senza quella visione il Trentino sarebbe diventato come l'area interna dellA' ppennino, come le montagne interne piemontesi, dove non abita più nessuno. Ma per trasformare in realtà questa visione in Trentino si è dovuto imparare a fare cose diverse, il contadino è dovuto diventare operaio, o magari operatore turistico. Il senso della pianificazione è stato questo, una spinta allo sviluppo socioeconomico, ma è stato anche urbanistica e uso delle competenze della Provincia Autonoma.

Voglio sottolineare due aspetti della Pianificazione. Abbiamo il processo, di applicazione, di capacità di analisi, di azione, di attuazione; e abbiamo il piano, come uno strumento tecnico e normativo. Quando parliamo di pianificazione territoriale punterei l'attenzione sul processo, perché il piano territoriale, come un disegno, diventa fragile, dura poco, mentre il processo, se affrontato nel modo giusto, dura nel tempo.

Ma cosa ci aspettiamo noi da un processo di pianificazione? La capacità di prevedere ciò che accadrà in futuro; la capacità di coordinare interessi e attori diversi; e infine un quadro di regole. La pianificazione è un processo complesso, non lineare, che ha al proprio centro la capacità collettiva di apprendere cose diverse. Nel dopoguerra in Trentino c'è stato un profondo cambiamento. Si pensi al crollo di addetti dell'agricoltura tra gli anni Cinquanta e oggi, dal 40% al 4,5%, con il terziario che è passato invece dal 27% al 70%. Le condizioni abitative decenni fa erano molto diverse tra città e paesi. La Provincia poteva vantare tra le proprie competenze l'urbanistica e la tutela del paesaggio; e per questo quando la politica ha voluto pensare allo sviluppo, si è passati per l'urbanistica, dalla lettura del territorio.

Il Piano Urbanistico Provinciale del 1967 ha fornito una visione: potremmo vivere anche nelle valli sperdute come in città, avremmo lavoro, avremmo servizi. Si parla di un piano che sentiva l'urgenza di trasformarsi in realtà, vista la pressione verso la migrazione. Per quanto riguarda il turismo, l'individuazione delle potenzialità del turismo di montagna è stata coraggiosa; allora il turismo era soprattutto nelle aree costiere, i numeri montani erano molto bassi. Il Piano ha previsto potenzialità ad ampia scala, con il disegno di impianti, con un'importante visione dello sviluppo sciistico, nel bene e nel male.

Nel 1987 c'è stato un nuovo passo della pianificazione: lo sviluppo era partito, e bisognava invece controllare la crescita. La Provincia aveva più competenze, era più strutturata, e si trattava di qualificare lo sviluppo. Abbiamo quindi un Piano più sviluppato dal punto di vista tecnico, con tre sistemi cartografici, più mirato anche nelle scelte e nelle indicazioni, con la considerazione delle aree a rischio, con delle tutele e con una strutturazione più precisa per le aree turistiche. Non ci si è limitati al disegno delle aree degli impianti, ma anche alla programmazione di infrastrutture per portare alle piste.

Nel 2008 sono cambiati i tempi, i linguaggi e le conoscenze. Si chiarisce qui qual è la visione; nel 2008 si affermano concretamente sostenibilità, sussidiarietà e competitività, aspetti che devono essere tenuti assieme. Un piano più processuale, meno urbanistico, un piano fondato sul ruolo del paesaggio. Nel frattempo erano stati introdotti anche altri strumenti di governo del territorio, che dovevano essere tenuti in considerazione.

E adesso cosa dobbiamo fare? Dobbiamo fare i conti con le nuove relazioni territoriali, materiali e immateriali. Abbiamo problemi di sistemi economici, organizzativi, con servizi che oscillano tra centralizzazione e diffusione. Pensiamo al commercio online, al telelavoro, tutte sfide che richiedono grande capacità di lettura dei processi e di innovazione. Tra le sfide per il futuro ci sono gli aspetti ambientali, con mitigazione e adattamento dettati dal cambiamento climatico, sapendo per esempio che con le energie rinnovabili, che sono a basso gradiente, dobbiamo occupare grandi aree territoriali. C'è poi il tema della rapidità dell'innovazione, sapendo che il nostro è un piccolo territorio, che deve puntare sulla qualità del prodotto e che non può gestire grandi numeri. E poi ovviamente c'è il problema della demografia, stiamo invecchiando: il sistema è sbilanciato, e dobbiamo saper attrarre e mantenere i nostri giovani. Non si tratta solo di competenze che scappano, sono anche nuovi genitori che vanno altrove.

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