Facciamo un breve excursus per capire come Italia Nostra ha accompagnato durante questo periodo sia il dibattito culturale a livello nazionale sia la tematica relativa al paesaggio. Siamo abituati a pensare a questa associazione come alla paladina della salvaguardia dei beni storici, architettonici e artistici. In realtà, andando a vedere lo Statuto del 1955, vediamo che questo piccolo gruppo di intellettuali romani si diceva molto preoccupato per le distruzioni del paesaggio che venivano fatte in quegli anni. La preoccupazione era già forte allora, sapevano già vedere la proiezione di quello che quei primissimi interventi avrebbero potuto portare. La sorpresa è quella di vedere nell'articolo 3, Scopo dellA' ssociazione, al primo posto, il tema della conservazione del paesaggio. Possiamo fare una riflessione sulla capacità di prevedere le tematiche e anche di sentirle, perché di paesaggio in realtà si inizia a parlare dopo, negli anni Settanta. Qui siamo nel '55, abbiamo delle norme che parlano ancora delle “bellezze naturali”.
I primi decreti ministeriali sono quelli attuativi della Legge del '39, nel '58, che vanno a formare gli elenchi delle bellezze naturali che vengono definite come “vincolate”. Qui si parla soprattutto dell'interesse pubblico che hanno questi beni culturali e naturali, intesi quindi come dei beni collettivi, e dunque da tutelare. Tutta la collettività in tal senso ha diritto a una verifica di controllo sullo stato dell'arte. Il Decreto Ministeriale parla per esempio dellA' lto Garda, un paesaggio che è visto ancora in termini pittorici, vincolato perché “offre dei quadri naturalistici particolarmente suggestivi”; nel 1965 si va a vincolare la parte subito a sud, quella della Gardesana, citando i giardini e il “lago azzurro più bello d'Italia”. Termini che, all'interno della normativa, fanno ben capire l'amore verso quel patrimonio.
Il PUP del 1967, come visto prima, ha saputo organizzare e indirizzare lo sviluppo socioeconomico del nostro territorio. Anche se è un piano molto definito a livello teorico e carente forse dal punto di vista della definizione dei criteri di intervento, perché nonostante tutti i buoni presupposti, possiamo vedere oggi un territorio dove l'espansione edilizia non ha avuto limiti. Il consumo del suolo non è stato organizzato; ci si era affidati molto sulla specificità di questo territorio, e si pensava che il valore stesso del territorio potesse arginare gli interventi che non rispettavano le sue caratteristiche uniche.
Italia Nostra ha sempre guardato con un occhio critico l'evoluzione della norma urbanistica. “Non basta il Piano per salvare il paesaggio” si diceva allora. In effetti a distanza di anni possiamo capire quali fossero queste grandi preoccupazioni. In quel periodo Italia Nostra aveva proposto di affiancare al PUP una norma specifica per la protezione del paesaggio.
Arrivando quasi ai nostri anni, nel 1998, l'assessore all'urbanistica Walter Micheli proponeva questa nuova visione: il piano della tutela del paesaggio deve essere ampliato pensando alla salvaguardia dell'ambiente. Iniziano quindi a entrare le tematiche relative ad aria, acqua e suolo. Arrivando ai nostri giorni, le problematiche restano le stesse, a partire dal consumo del suolo. Giusto l'anno scorso abbiamo dovuto contrastare per esempio la costruzione dell'ospedale di Cavalese in una piana riconosciuta come area agricola di pregio, lì dove non era prevista l'edificazione. Ancora oggi siamo qui a cercare di far valere i valori istitutivi del vecchio PUP, il che è perlomeno particolare.
Ci sono poi altri interventi che, grazie alle continue deroghe comunali, non permettono un conseguimento di una vera e propria politica di salvaguardia. Pensiamo alla Piana di Zuclo, alle porte di Tione, uno dei pochissimi territori pianeggianti del territorio, o pensiamo cosa è stato fatto in Val di Cembra per interrare un tubo, un grande taglio all'interno di un bosco pregiato di faggi e larici. Ci sono poi due casi specifici su cui voglio concentrarmi, per capire il punto in cui ci troviamo, per vedere quello che ci sta “scappando”. Il primo ha a che fare con le falesie dell'Alto Garda, dove è stata già realizzata – a Limone – una parte della Ciclovia del Garda, come “passeggiata panoramica”. Essendo larga 2,5 metri non è catalogabile come ciclovia. Vediamo sempre questa opera da sopra, così come si appoggia armonicamente alle rocce; basta però guardare l'opera da sotto per capire cosa è stato fatto alle falesie per sostenere la ciclovia. Falesie famose fin dall'epoca del Grand Tour, rovinate per sostenere una passerella a sbalzo. La ciclovia progetta dalla PAT prevede, oltre allo sbraccio della passerella, anche una tettoia con delle putrelle metalliche; nonostante il fatto che le altre due Regioni abbiano dichiarato “le forti criticità delle parti a penisola, lesive dello stato di naturalità dei luoghi, risultando non compatibili con la tutela delle coste del lago”. Sia la Sovrintendenza di Brescia che quella di Verona la pensano in questo modo. Il secondo caso che voglio portare è il progetto di riqualificazione funzionale di Malga Zangola a Campiglio, una proposta fatta da un gruppo di imprenditori di Milano orientata a “un turismo che non si accontenta”, un intervento “significativo per la movida della perla delle Dolomiti”. Una proposta che pensa a grandi schermi e a un grande lastricato di 1.500 metri quadrati, che verrà chiamato “la spiaggia”. Con lettini, puff, un'arena per l'Après-ski con un fast food di “alto profilo”, con cibi come “hamburger, panini e beverage”. Questo progetto è stato fatto e proposto, con lA' SUC di Fisto e il sindaco di Pinzolo a esprimere soddisfazione per “questa offerta di qualità che valorizzerà ulteriormente Campiglio”.
La riflessione è questa: abbiamo parlato di un senso di identità, che dovrebbe essere insito in ognuno di noi, nella popolazione di montagna soprattutto, perché è la montagna che è capace di darci questo senso di identità – anche senza avere una normativa che ce lo ricordi. Oltre alle normative tecniche, che in qualche punto possono sempre presentare slabbrature o deroghe, dobbiamo puntare molto sulla riqualificazione della cultura della montagna, pensando a un coinvolgimento della popolazione e dei turisti, ai quali ci rivolgiamo per il nostro presente e per il futuro. E ne arriveranno tanti, perché a causa del cambiamento climatico i cittadini guarderanno sempre di più alla montagna, e non solo per brevi vacanze.