Per troppo tempo questo tema è rimasto nel sottofondo di un dibattito sulle grandi trasformazioni del territorio, questo è un rammarico e anche una presa d'atto. Mi riferisco al fatto di capire che, forse anche politicamente, gli anni delle grandi visioni, gli anni in cui all'urbanistica veniva attribuito un ruolo fondamentale di visione – partendo da quello che è stato per noi l'orgoglio del PUP del 1967, di cui tutti siamo consapevoli dei limiti ma di cui siamo tutti orgogliosi per quello che ha avviato pensando al Trentino del futuro – si sono spenti. Ne abbiamo preso atto. E tra le cose che mi auguro che si possa riprendere a parlare, con la prossima consiliatura provinciale, c'è quella di ridare un giusto peso a quello che è il tema della pianificazione urbanistica, ai vari livelli.
In qualche occasione, quando sono stato intervistato, ho fatto cenno alla necessità di mettere mano al PUP, un piano che nasce per riuscire a stare dietro ai cambiamenti, cosa che negli ultimi anni non è avvenuta, complice anche una serie di condizioni straordinarie. Dobbiamo provare a prendere in mano il PUP, provando a rivederlo dentro agli scenari di cambiamento che affrontiamo al momento. Questo è il tema sulla scala ampia; alla scala più dettagliata troviamo ulteriori questioni stimolanti. Dentro a uno scenario di una visione del PUP, quello che viene calato a livello comunale nei piani regolatori comunali è, al momento, estremamente deficitario. In questi anni la maggior parte dei piani regolatori, nelle loro varianti ed estensioni, è diventata non un'occasione di riflessione per il futuro, quanto un esercizio di adeguamento alle normative che cambiano in continuazione. Si è persa quella grandissima spinta di visione del territorio, con tutte le questioni legate alle difficoltà di capire cosa siamo e dove vogliamo andare. Alcune situazioni limite che abbiamo visto questa sera sono anche la restituzione di una confusione da parte della politica locale e non solo, rispetto a quello che si vuole essere nel futuro, del rincorrere idee di sviluppo che sono spesso contraddittorie o non coerenti con gli scenari che ci siamo dati anche tramite il PUP. Sviluppare il settore turistico, che è estremamente importante, non vuol dire continuare a rincorrere cose che non ci appartengono; il rischio è poi quello di trovarci operazioni che non sono più confacenti la nostra filosofia di base. Su questo dobbiamo fare una riflessione.
Abbiamo rincorso negli anni dinamiche molto diverse, e ci troviamo ad avere dei numeri enormi in campo turistico, con alcune località che stanno riflettendo sul mettere dei numeri programmati sullo skipass, avendo preso coscienza che il territorio non è più in grado di sostenere una presenza di questo tipo, come non sono in grado di sostenerla le comunità che vivono tutto l'anno quel territorio. Su questo credo che il Trentino debba iniziare seriamente ad avviare un ragionamento.
Noi, come architetti, abbiamo iniziato a fare una serie di piccole operazioni per avvicinare quello che può sembrare non appartenerci in termini di competenza; in realtà siamo coinvolti non soltanto nella restituzione tecnica delle scelte politiche, siamo anche parte di questi cambiamenti, perché lavoriamo su questi territori, e siamo soggetti tra i più interessati alle trasformazioni, e non ci vogliamo assolutamente sottrarre a un dibattito che riguarda il nostro territorio. Mi auguro che venga avviato un tavolo di ragionamento sul mettere mano agli strumenti pianificatori, la ritengo quasi un'emergenza. Credo che il fatto di avere depotenziato l'ente intermedio sia stato un errore; sono un po' perplesso perché adesso le comunità di valle si trovano a essere una situazione ibrida, che non riesce a dare quel contributo immaginato dal PUP. Lì c'era anche la volontà di rendere le amministrazioni locali più consapevoli, sul futuro, sulle infrastrutturazioni, sulle scelte politiche. Quell'idea, secondo me, doveva restare in piedi, mentre ora siamo tornati indietro, per trovarci in tal senso in una “terra di nessuno”.
Per quanto riguarda il coinvolgimento della comunità locale nei processi di pianificazione, credo che ci sia la possibilità di farlo. Non siamo abituati a farlo: abbiamo uno strumento pianificatorio che sta mostrando i suoi limiti, che è stato oggetto di qualche modifica con la legge 15, per renderlo più snello, ma il famoso processo di cui parlava il professor Zanon in realtà non c'è. E sarebbe necessario, perché la comunità in questo momento non percepisce nel Piano uno strumento di scenario futuro. In questi anni mi sono ritrovato a occuparmi di urbanistica, e mi trovo spesso a confrontarmi soprattutto con tematiche del quotidiano, assolutamente legittime, ma sono tutti temi che riguardano l'immediato. E gli amministratori sono quasi ossessionati dal voler dare una risposta; invece viene a mancare spesso una sorta di “prescrizione” nel costruire un documento preliminare che pensi al futuro. Questo a mio avviso è uno di quei limiti che non stiamo riuscendo ad affrontare, e credo che sia principalmente per questioni politiche.
Ci sono vallate che vivono di turismo, che si preoccupano di dotare il territorio di una serie di servizi che riguardano questo settore economico per loro prevalente; però spesso non si riescono a intravedere dei ragionamenti rispetto alla comunità residente. Penso anche al tema attualissimo delle politiche della casa: ci sono valli in cui l'industria del turismo è importantissima, dove l'ITEA non fa interventi da 30 anni. Non è possibile pensare che tutti abbiano la possibilità di acquistare casa nelle valli in cui i prezzi immobiliari sono alle stelle, proprio per la tensione turistica. C'è uno spostamento verso aree più lontane proprio perché non c'è un ragionamento di prospettiva su questi territori. Penso poi a cosa succederà a tutte quelle località che hanno investito tantissimo nella stagione turistica invernale tra pochi anni, quando le temperature saranno più alte: è bene aprire una riflessione sul fatto che il futuro non può essere “monotematico”.