La ricchezza che abbiamo saputo trasformare in elementi fruibili da chi poi arriva nella nostra terra deriva proprio dalla nostra storia, dall'esperienza difficile di vivere la montagna. Questa difficoltà, questa esigenza di trasformare il limite in valore, questo esercizio lungo secoli, ci ha portato a essere quello che siamo oggi, in grado di trovare delle strade che ci consentono di allestire una vetrina che porta diversi prodotti fruibili. La stessa difficoltà di vivere un territorio complesso a livello orografico, ma che è anche una “cerniera” dal punto di vista geografico, mi porta a ragionare su un'affermazione che è stata fatta poc'anzi, quella della comunità sorridente. Comunità che deve saper trasformare gli stranieri in ospiti. E su questo non c'è nulla da dire. Ma gli stranieri non sono solo i turisti, gli stranieri sono spesso anche i lavoratori che consentono che questa offerta turistica si compia. La comunità sorridente a mio avviso non è solo quella che sa accogliere le persone che vengono a fare turismo, ma è anche quella che sa accogliere le persone che decidono di puntare – per la crescita di famiglia, per la crescita delle loro competenze di studio o di lavoro – sulla nostra terra. Non è una cosa da poco, e credo che davvero le cose non siano slegate. Fino a quando ragioneremo a comparti stagni, dove il turista è un valore, mentre il lavoratore è solo una risorsa da sfruttare, o comunque di cui non preoccuparci, da vedere solo dalle 8 alle 16, avremo una tara che rischia di viziare gli altri elementi ricordati.
Un ecosistema è tale laddove tutte le filiere che fanno parte di quel territorio sono alimentate in un circuito virtuoso di partecipazione. La quale non deve essere lasciata al buon cuore o all'istante, deve essere alimentata da modelli che sono frutto di lavorazione, di pensiero, di studio, che devono consentire di raccogliere le istanze in modo continuativo. Istanze che devono essere elaborate, ripulite e consolidate, senza andare ad alimentare falsi problemi o false preoccupazioni. È questo il lavoro che porta a mettere sul tavolo le questioni davvero prioritarie.
Sono d'accordo con il presidente Manzana: la comunità deve essere innanzitutto autentica per essere percepita come tale, ma non possiamo illuderci che tutte le nostre comunità siano autentiche. Non è che una comunità, soltanto perché è piccola, è autentica. L'autenticità c'è quando vivere il proprio territorio è un valore, quando si è orgogliosi di quel valore, quando quel territorio trasmette anche un messaggio di unicità: in questo senso possiamo avere una comunità autentica. E per favorire questi processi ci vogliono grandi investimenti. Quello politico, che deve mantenere l'attenzione sui temi giusti, e quello economico, per garantire che questo modello possa funzionare.
Il tema del turismo delle quattro stagioni, di riuscire a creare un'offerta turistica capace di andare oltre le stagioni classiche, è molto legato a quello che ho detto. Non immagino ovviamente un albergo aperto 12 mesi all'anno come unica ricaduta di questo discorso, tutt'altro; anzi, immagino un turismo che, andando ad aumentare la capacità di accoglienza del nostro territorio, sappia valorizzare soprattutto quelle che sono delle eccellenze meno conosciute del nostro territorio. I piccoli borghi, quelli che non hanno lago, montagna o impianto di risalita, ma che possono raccontare una storia, anche agli stessi trentini, senza avere lo stress dell'eccessivo carico antropico o del traffico. Questo incontro diventa a quel punto davvero gioioso.
La stagionalità oggi ha una ricaduta molto concreta su quelle che sono le condizioni di lavoro degli occupati del settore. Un rapporto recente del Ministero del Lavoro identifica la stagionalità come una delle cause maggiori di povertà dei lavoratori. Quando il turismo riuscirà a garantire un lavoro decoroso e continuativo, avremo anche dato un contributo importante a un'economia più responsabile, più sostenibile per il futuro collettivo.