I film del Trento Film Festival sono stati degli anticipatori. Il Trento Film Festival, essendo un festival internazionale e plurale di cinema di montagna, è uno sguardo permanente sulle montagne del mondo e sulle culture. Perché le montagne sono plurali, non c'è una montagna uguale a un'altra, come anche le culture sono plurali. Questo sguardo permanente è anche uno sguardo sui cambiamenti.
Vorrei sottolineare un aspetto: diciamo spesso che la montagna è un sensore dei cambiamenti climatici. I cambiamenti si percepiscono, cioè, prima in montagna. Probabilmente fino a Vaia molti di noi non si sono nemmeno accorti dei cambiamenti, non ci facevamo caso. Che la pernice bianca salisse di 200 metri per nidificare, che un ghiacciaio si riducesse un po': non ci facevamo caso. Con quello che è successo forse abbiamo capito che in realtà c'è una situazione che va corretta. Abbiamo forse capito che sta aumentando la fragilità in montagna. Uso la metafora di Cognetti, del libro “Le 8 Montagne”, quando parla del torrente che scorre: il padre chiede al figlio “se qua è il presente, dov'è il passato, dov'è il futuro?” con il figlio che, dopo averci pensato un po', risponde che “il passato è a valle, e il futuro è in alto”. La montagna è futuro, lo è anche per la pianura, e quindi può essere un laboratorio per trovare nuovi sentieri da esplorare, per una nuova modalità di vita. Il cambiamento che auspicava Paissan è questo. Non possiamo pensare di non agire dopo quello che è successo e quello che sta succedendo: la parola da usare è “rigenerazione”. È necessaria una rigenerazione economica, sociale, ambientale, per poter conquistare spazi di futuro. Perché il rischio è di andare a sbattere. La montagna da questo punto di vista ha una responsabilità, perché è responsabile anche per le popolazioni che stanno a valle. Quando diciamo che la montagna è solidarietà – con il soccorso alpino, i rapporti tra le persone e via dicendo – è da sapere che la solidarietà è soprattutto quella delle popolazioni di montagna verso le altre.
Quando parliamo di rigenerazione, di intraprendere nuovi percorsi per ripartire dentro a una strategia robusta di sostenibilità, è bene tenere presente la cultura del limite. Senza di essa non andiamo da nessuna parte. Questo è a mio avviso l'elemento fondamentale. Altrimenti, come detto da Paissan, il rischio è quello di rivivere continuamente il giorno della Marmotta, senza un nuovo inizio.
Il ragionamento sulle stagioni, sul vivere le stagioni del territorio – che forse in futuro saranno tre, non lo sappiamo – si inserisce in questo discorso più grande, un impegno fondamentale per una comunità, che riguarda soprattutto alzare l'asticella dal punto di vista turistico, e di andare verso la qualità. Faccio una provocazione: meno turisti e più residenti. È stato rotto il paradigma per cui in montagna si va a divertirsi mentre in città si lavora. Oggi la montagna diventa luogo di vita, anche molto ambito. Un ragionamento di questo genere presuppone che il pubblico non investa più con contributi a pioggia sui singoli settori; ci vogliono invece politiche di contesto, efficaci per poter sostenere sia la vita in montagna, sia la vacanza.
Bisogna puntare alla qualità dei servizi, e all'integrazione con il settore agricolo che ancora oggi esiste solo in parte. Per il semplice fatto che non possiamo vendere camere a determinati prezzi assicurando allo stesso tempo dei prodotti trentini. Se consideriamo l'offerta turistica una commodity, per il quale il prezzo diventa l'elemento determinante, abbiamo sbagliato tutto, in un territorio di montagna come il nostro, con le responsabilità che abbiamo verso il territorio e l'ambiente. Sono il valore complessivo dell'offerta, la responsabilità, la coerenza, gli elementi forti.
E quindi il cambiamento non possiamo rinviarlo, su questo tema è bene essere chiari. Le stagioni si possono certamente ampliare e aumentare, ed è giusto farlo. Del resto, non voglio fare polemica, ma gli anni scorsi bastava andare a settembre sul lago di Caldonazzo per trovare tutto chiuso. Anche noi dobbiamo metterci in discussione, al di là delle scelte di sostenibilità fondamentali. Abbiamo questa responsabilità di far vivere il territorio, di qualificarlo, e di far vivere chi vive sul territorio, dagli operatori ai viticoltori, dai frutticoltori ai malghesi. Abbiamo una ricchezza straordinaria, e quindi grandi potenzialità.