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XXIV BITM - L'intervento di Neri Marcorè

Categoria: Turismo in Italia

Anno: 2023

XXIV BITM - L'intervento di Neri Marcorè

Relatore: Neri Marcorè - Attore, imitatore, doppiatore, conduttore televisivo e radiofonico, regista e cantante italiano

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Questa è una zona in cui vengo sempre molto volentieri. Del Trentino mi piace il fatto che c'è un bellissimo equilibrio tra il concetto di cultura, che può essere declinato in tanti modi diversi, e altri elementi come la natura, la civiltà e le tante iniziative. Proprio dai Suoni delle Dolomiti peraltro ho preso spunto per l'iniziativa Risorgimarche, che è partita l'anno successivo alle scosse di terremoto che si sono verificate nell'agosto e ottobre 2016 nel centro Italia che hanno colpito duramente la mia regione.

Volendo fare qualcosa di concreto per le comunità colpite delle Marche ho pensato a questo festival ecosostenibile e itinerante. Il primo anno abbiamo fatto 15-16 concerti, in zone diverse del cratere sismico, non antropizzate, di pomeriggio, senza usare luci artificiali, con un'amplificazione minima (per sfruttare l'ottima acustica naturale di questi luoghi), senza transenne. Il pubblico doveva arrivare camminando in media tra i 3 e i 5 chilometri, per arrivare ai 15 chilometri per i concerti con nomi di maggiore richiamo, come Jovanotti, con 70-80mila persone: man a mano che i parcheggi si riempivano, il percorso d'avvicinamento diventava più lungo. La cosa bella, al di là dell'indotto economico per le comunità, è stato l'impatto ambientale bassissimo, con il pubblico che lasciava i luoghi dei concerti così come li veva trovati. Parliamo peraltro di concerti offerti gratuitamente dagli artisti. È stata una bellissima esperienza, perché aveva tanti riverberi positivi, per il paesaggio naturale, per il ritorno a una lentezza che forse è un po' consona rispetto al nostro essere umani, per camminare, parlare e conoscersi, che è diverso dal parcheggiare l'auto e poi correre sotto al palco. C'è stato l'aiuto alla comunità, c'è stata la visibilità per le aziende locali, e via dicendo. E per l'appunto ho preso spunto dal Suono delle Dolomiti, con tutte le variazioni del caso; un festival a cui ho partecipato varie volte, di cui ho sempre apprezzato la mancanza di confini tra l'artista, la gente, il luogo, il paesaggio, tutto insieme, senza righe nette, ogni cosa in armonia.

Questa mattina ho sentito molto interventi interessanti, anche tecnici, rivolti anche ai tanti ragazzi che stanno studiando in questo settore. Sapendo peraltro che non tutti seguiranno questa strada, l'importante però è studiare, perché tutto serve. Io ho studiato come interprete, e poi le lingue le ho usate magari per recitare all'estero o per capire meglio il lavoro di doppiatore.

Sono diventato artista perché seguivo semplicemente quello che mi piaceva, senza guardare al risultato finale. Mi piaceva la musica, e quindi cantavo e suonavo per il gusto personale di farlo. Mi piaceva seguire i comici, e magari imparare qualche sketch e monologo, per il piacere di farlo. Questa coltivazione di passioni fini a sé stesse è stata poi la premessa di quello che mi è capitato, quando mi sono trovato davanti all'opportunità di giocarmela con altri per fare questo mestiere: ci arrivavo con una grande serenità, senza avere l'obiettivo di “vincere a tutti i costi”. Quell'interessamento che avevo, che mi aveva comunque portato a creare un bagaglio “tecnico”, è stato importante proprio perché l'avevo curato a prescindere dal fine. Direi che è quasi più importante il percorso che il traguardo, come si dice in qualsiasi forma di viaggio. Dobbiamo apprezzare tutto quello che di bello e di buono si incontra lungo la strada e portarselo dietro, perché non sappiamo mai quanto e quando e come ci sarà utile.

Ho una sorta di repulsione verso le etichette e le definizioni nette, di sicuro ci aiuta mettere le cose nelle cornici. Ma essere inquadrato come attore di teatro, imitatore e altro mi ha sempre fatto venire l'orticaria. Per questo ho sempre cercato di cambiare la forma in cui mi proponevo. Ho iniziato come imitatore, ma non era quello che volevo fare nella vita; mi divertiva, mi piaceva, è stata la chiave di accesso al mondo dello spettacolo. Ma volevo aggiungere molte cose, volevo diversificare, come si fa in economia e nel turismo, e questa diversificazione ha fatto sì che ora, dopo 33 anni di professione, mi trovo con un bagaglio misto.

Prima abbiamo parlato di un evento legato a un evento drammatico, a un terremoto, che però allontanandoci dal 2016 è diventato un turismo di accoglienza, di condivisione. La nostra natura ci permette di intervenire subito, a differenza dell'amministrazione e della politica, che hanno altri tempi. La musica è quella che crea più empatia, e il desiderio di far sentire la vicinanza di artisti e di tantissima gente è la scintilla che mi ha portato a ideare il festival Risorgimarche. Ricordo la richiesta di aiuto di una signora in lacrime nella tendopoli che era stata allestita ad Arquata del Tronto, che diceva “non dimenticatevi di noi”. E questo suo appello ha fatto sì che dopo la seconda scossa, più grande, io abbia voluto fare qualcosa di concreto, che non si limitasse a una singola iniziativa. Questi eventi sono del tutto gratuiti, perché volevo che venisse più gente possibile, che l'aiuto arrivasse anche attraverso l'indotto, non con una semplice raccolta fondi. Perché la cifra dei danni è talmente enorme che il fatto di raccogliere qualche centinaio di migliaia di euro in donazioni finisce per significare poco (salvo il fatto che il modo per donare c'era sempre per tutti). Il mondo dello spettacolo può fare qualcosa subito, e poi magari si trasforma, come è successo in questi anni, in qualcosa legato alla promozione turistica.

Ovviamente la montagna ha un suo turismo, ed è una forma di un turismo che va sorretto. Il turismo, come il lavoro, è una cosa che non si può dosare: quando ce n'è poco vorresti aumentarlo, quando ce n'è troppo vorresti ridurlo. Nelle Marche c'è chi si lamenta a volte che la regione è troppo poco sviluppata dal punto di vista turistico, e io penso che sia meglio così, perché rispetto ad altre regioni la nostra è meno cementificata, forse c'è stato un maggiore rispetto della conservazione del territorio. Ed è nella conservazione che c'è il futuro, non nel costruire forsennatamente, semplicemente perché questo è quello che ci fa pensare allo sviluppo: qui viene in mente anche la differenza tra progresso e sviluppo di cui parlava Pasolini. Un progresso, uno sviluppo sostenibile ma dosato, è quello che ci può garantire un futuro, perché altrimenti ci perdiamo la bellezza e la cura di questi luoghi. Chi coltiva i castagni e cura i prati attorno ad essi lo fa sicuramente per un senso estetico e di bellezza, che prescinde dalla semplice fatturazione. Questa è l'unica possibilità per pensare alla nostra terra con il rispetto che merita. Lo vediamo, si stanno trasformando tante cose sotto ai nostri occhi, sembra che non abbiamo, in questo senso, il potere di frenare. Forse ognuno di noi, nel proprio piccolo, può però riuscire a dare il proprio contributo, comportandosi in modo virtuoso.

Si diceva prima che dopo il Covid c'è stata una ripresa forte, ma meno delle aspettative. Ma adesso vediamo tante città in cui il turismo è forse eccessivo, non si riesce quasi a controllarlo, con un turismo mordi e fuggi che crea anche un indotto, ma che forse va a discapito della fruizione, della lentezza, della possibilità di assorbire piano piano delle cose che ci fanno piacere. Altrimenti è tutto un “all you can see” e “all you can eat”, un fagocitare in maniera sguaiata e poco equilibrata quello che ci troviamo davanti. Parlare e discutere per cercare di capire insieme come si possa migliorare il modo di fare turismo è importantissimo, soprattutto di questi tempi.  

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