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XXV BITM - L'intervento di Mauro Leveghi

Categoria: Tutela del territorio

Anno: 2024

XXV BITM - L'intervento di Mauro Leveghi

Relatore: Mauro Leveghi | Presidente del Trento Film Festival

Tag associati: SostenibilitàResidentiFuturo del turismoOver turismIdentitàCambiamenti climatici


Come a noi piace dire, il Trento Film Festival è una finestra permanente sulle montagne del mondo, perché porta sempre all’attenzione ciò che gli occhi di donne e uomini vedono sulle montagne del mondo. Un tempo il Festival era al singolare, perché le pellicole che arrivavano riguardavano solo l’alpinismo. Ora le pellicole raccontano invece tutto quello che succede sulle montagne, e quindi le questioni antropologiche e sociologiche, nonché i cambiamenti.

Il cambiamento climatico porta due effetti sulle montagne e sul turismo d’alta quota. Il primo è la rincorsa alla montagna come scialuppa di salvezza. Ma la montagna non è preparata per questo, e non è una scialuppa di salvezza. Il secondo è che il cambiamento climatico ha aumentato in modo esponenziale la fragilità delle montagne, che erano già fragili di per sé. E quindi in montagna ci sono più persone, con meno competenze, con meno attrezzatura, con meno consapevolezza e meno cultura: persone che diventano solo un pericolo.

Abbiamo un turismo di massa in montagna, se guardiamo certe valli, Fiemme e Fassa, o le Dolomiti di Campiglio. Una rifugista del Catinaccio mi ha detto che “non riconosco più la mia montagna, arrivano persone che non sanno dove sono, siamo diventati come delle stazioni di servizio sull’autostrada”. Di fronte a questo credo che sia necessario affrontare il cambiamento.

L’opportunità che ci dà il cambiamento climatico è cambiare? La vedo in realtà come una necessità. Non possiamo solo adattarci, dobbiamo mitigare, dobbiamo cambiare. Dobbiamo scegliere la strada della sostenibilità, con una cultura del limite. Le masse sono incompatibili con le condizioni della montagna, e non sono sostenibili.

Penso a Samuel, protagonista della pellicola del 2016 “Samuel in the Clouds”. Rifugista su una delle cime più alte della Bolivia, non vede la neve da diversi anni: lì dove arrivavano sciatori da tutto il mondo, la neve non arriva più. Lui resta lassù, sperando nel ritorno delle precipitazioni nevose che avevano permesso lo sviluppo turistico dell’area. Samuel ha subíto il futuro. Viveva nella convinzione che nonostante tutto, qualcosa sarebbe cambiato, che nonostante tutto ‘si potrà ancora sciare’. Mi viene in mente la canzone di Gaber “L’’amico”, con Gaber al capezzale di un amico che dice “Ma cosa fai, dai non piangere” e poi “che vuoi che sappiano le suore”.

Il vero problema è che, anche per quanto riguarda le nostre stazioni sciistiche – sapendo che lo sci ha portato il benessere – rischiamo di restare intrappolati nel successo. Dobbiamo pensare alle montagne anche in modo diverso. Il che non vuol dire eliminare del tutto gli impianti, ma pensare anche a qualcos’altro, oltre alla discesa (che è “in discesa”). Non bisogna poi dimenticare che, visti i costi sempre più elevati dello sci da discesa, sempre meno persone potranno permetterselo. Non dobbiamo rimanere come Samuel al rifugio, sperando che nevichi.

Negli ultimi anni il Festival è soprattutto la testimonianza delle sofferenze delle montagne. E tra queste ce ne sono due che sono legate al cambiamento climatico. Per prima cosa: le nostre montagne per essere sempre attrattive dal punto di vista turistico devono avere prima di tutto le malghe. Se non riusciamo a garantire le malghe, togliamo un pezzo di montagna. La seconda sofferenza è rappresentata dai rifugi, e anche lì c’è una partita difficile. Rifugi e malghe sono entrambi presidi del territorio, e il rifugio è inoltre un presidio culturale, soprattutto in questi momenti in cui la fragilità della montagna aumenta.

È quindi importantissimo scegliere le persone giuste per gestire malghe e rifugi, senza però pensare all’introito. Stabiliamo un affitto che sia uguale per tutti, e scegliamo in base al progetto gestionale, alla capacità di essere davvero presidio territoriale, perché è esattamente questo che significa garantire un futuro alla montagna.

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