Io sono un paesaggista, mi occupo cioè della progettazione di paesaggio, con un approccio molto botanico. Riva del Garda è un luogo particolare: un paesaggista parte per prima cosa dalla storia del luogo, dal genius loci, investigando sul posto. Cercando di capire perché oggi ci troviamo questo parco, questo contenuto. Un parco storico, che oggi è una componente del water front, strategico, non solo per la dimensione, ma anche per il contenuto botanico. Un punto verde nella città, che vede una caratterizzazione di paesaggio lungo lago, ma che al suo interno ospita piccoli giardini. Il salotto della città è però per l’appunto il lungolago, di cui il parco è un tassello strategico, vissuto da tante persone: è privato, ma con una fruibilità pubblica.
Si tratta di un parco di acque, nato cioè in un luogo di attraversamento di acque. È un parco lacustre, ha un terreno torboso. Attraverso la botanica leggiamo il percorso evolutivo della storia del verde di Riva del Garda e di come le persone del luogo hanno usato il territorio, anche come strumento per il settore turistico.
Come gestire un parco di questo tipo in modo sostenibile? L’approccio è quello di cercare delle soluzioni per conservare e valorizzare l’esistente e di trovare delle forme migliorative, anche pensando alle nuove problematiche poste dai cambiamenti climatici.
Nel parco troviamo i ‘grandi vecchi’, come le grandi conifere, le grandi latifoglie, ma è fondamentalmente un parco di palme; ce ne sono oltre 10mila. Una palma entrata a fine Ottocento, che grazie al cambiamento climatico ha colonizzato tutto, essendo più resiliente, insidiando lo spazio di vita dei grandi vecchi.
Il progetto di valorizzazione mira a creare un limite all’espansione delle palme, ma conservandole, perché Riva del Garda è la città delle palme, questi alberi definiscono il mood della città. Per rendere accogliente il Parco sono stati creati diciannove giardini. Le palme hanno creato delle quinte, delle cortine particolarmente intense, grazie alla loro resilienza, penetrando in ogni dove. La difficoltà di questa situazione è data dal fatto che le palme si stanno “accorgendo” che c’è un limite. Nella botanica il limite è una pandemia, una malattia che fa morire le palme in piedi, e non capisci il perché. Qui c’è la paysandisia, una piccola farfalla che sta colpendo in modo molto forte le piante. Stiamo quindi lavorando in biodiversità, introducendo appunto i diciannove giardini per valorizzare l’aspetto botanico, seguendo l’aspetto storico di questo parco di collezione botanica. Piccoli giardinetti che devono lavorare insieme alle palme, creando un freno alla loro espansione e dando soluzione a questa moria diffusa.
Il fatto di vedere in un unico progetto molte specie vegetali (alberi, arbusti, aiuole e via dicendo) vuol dire che il progettista sta lavorando in modo ecologico, per creare delle situazioni abbastanza vicine alla natura. Tutto questo percorso si inserisce nel fatto che il parco deve essere fruito. Le persone qui passeggiano per ore, si incontrano, leggono, e quindi devono fruire della bellezza del parco. La parola biofilia ci permette di esprimere il progetto che abbiamo di caricare botanicamente il parco, con una risoluzione alle problematiche gestionali, e con un rinnovata lettura di questo parco storico della città.
C’è un progetto, c’è una sostenibilità, sembrerebbe tutto bello. Ma c’è anche un problema di abbandono: quello della paysandisia è un problema grosso che sta colpendo la città stessa, un problema che non può essere affrontato da un unico soggetto.