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La sintesi della XXIV BITM

Categoria: Sfide del turismo montano

Anno: 2023

La sintesi della XXIV BITM

Relatore: Alessandro Franceschini - Direttore scientifico della Bitm e Umberto Martini - Professore di Economia e gestione delle imprese, Università degli studi di Trento

Tag associati: SostenibilitàDestagionalizzazioneResidentiFuturo del turismoLavoroIdentità


Franceschini: Vorrei discutere con il professor Martini alcuni dei temi più interessanti di questa edizione della BITM, a partire da tre concetti che sono emersi da queste giornate molto intense, tre pilastri che possono tenere in piedi quest'idea del turismo a quattro stagioni. Il primo è quello del paesaggio abitato, il secondo quello della comunità sorridente e il terzo quello dell'ecosistema turistico. Tre categorie che forse non sono state ancora indagate a fondo nella disciplina, e che rappresentano probabilmente delle frontiere interessanti per lo sviluppo del turismo. Parto con il concetto di paesaggio abitato. L'idea è che una comunità si insedia nel proprio ambiente di vita e attraverso il lavoro dà origine a quello che noi chiamiamo paesaggio: questa idea rappresenta a tutti gli effetti la ricchezza. Quello che noi vendiamo sul mercato internazionale è il nostro paesaggio, la stratificazione millenaria di una comunità che vive in un contesto. Il paesaggio si riferisce a tutti i concetti di sostenibilità ambientale, e deve essere quindi conservato, nutrito, progettato nel corso del tempo. Ma rimanda anche all'idea dell'unicità dei luoghi, perché ogni paesaggio è diverso dall'altro, e dunque anche all'unicità che possiamo valorizzare dentro al mercato turistico. E si riferisce anche ai cambiamenti climatici, lo si diceva prima con il presidente Messina, che sono ormai evidenti. Il paesaggio cambia con il clima, si coltiva per esempio a quote un tempo impensabili. Tutto questo ci dà l'idea di quanto sia ancora importante, per una comunità, abitare un paesaggio e dargli un senso.

Martini: Il paesaggio è da sempre uno degli elementi fondamentali della forza di attrazione turistica di un territorio. Questo perché il turista, da qualunque parte venga, da vicino o da lontano, dà a ciò che vede una rilevanza che va al di là della semplice bellezza estetica. Perché ciò che vede, ciò che contiene la sua vacanza, dà un senso alla vacanza stessa. Questo è un aspetto molto importante che dobbiamo sempre ricordare. Ricordiamoci anche che il paesaggio è frutto della trasformazione che l'uomo dà a un territorio. Esiste un po' un equivoco che tendiamo a portarci dietro quando facciamo questi ragionamenti, pensando che il paesaggio sia qualcosa di assolutamente naturale. Il paesaggio non è la risorsa naturale, è l'effetto della trasformazione indotta dall'uomo su un territorio naturale. Quindi quando noi vediamo i vigneti, pensiamo “che bel paesaggio”, ma non è che i vigneti siano da soli così; quando vediamo i boschi della Valle di Fiemme, o i magnifici prati coltivati in quota in Alto Adige, dobbiamo sapere che quel paesaggio è frutto di un preciso processo di gestione, che ci racconta della multifunzionalità di molti elementi naturali, come per esempio della foresta. Quindi che cosa ci insegna questa considerazione? Che noi residenti, imprenditori e istituzioni che lavorano per il turismo, abbiamo una grandissima responsabilità sulla valorizzazione del paesaggio. E sulla gestione di tutti gli interventi che lo trasformano e lo modificano, che devono essere sempre interpretati in senso positivo. E qui dobbiamo ammetterlo, per alcuni anni ci siamo un po' dimenticati del paesaggio, attraverso interventi estremamente impattanti, che solo oggi in alcuni luoghi stiamo cercando di recuperare, attraverso difficili opere di rinaturalizzazione, demolizione e abbattimento. Non dimentichiamolo, in alcuni casi la necessità di rispondere velocemente alla crescita della domanda turistica ha portato anche a degli interventi che non sono propriamente consoni con il ragionamento fatto finora. Credo che questo senso di responsabilità vada interpretato come uno dei fattori essenziali per uno sviluppo equilibrato non del turismo di oggi, ma di quello del futuro.

Franceschini: Se il paesaggio è l'effetto di un lavoro di una comunità sul proprio ambiente di vita, è anche vero che questo è uno specchio, come dice l'urbanista portoghese João Nunes. Riflette chi siamo, la nostra storia. La definizione di Nunes evoca anche un po' l'immagine di Dorian Gray, di un paesaggio che invecchia. È l'evidenza della nostra attenzione verso l'ambiente; se un paesaggio è scadente è perché la comunità locale non presta sufficiente attenzione. E questo mi dà lo spunto per presentare il secondo punto, quello della comunità sorridente, un altro concetto emerso in queste giornate. C'è la consapevolezza che non esiste un turismo autentico e reale se non c'è una comunità che lo offre, una comunità soddisfatta di sé stessa. Quello che ormai il turista evita come la peste sono i pacchetti preconfezionati, le scenografie di cartapesta, tutto quello che sembra confezionato ad hoc per la fruizione dei turisti, che nasconde in realtà il vuoto. Come facciamo a essere una comunità sorridente e soddisfatta di essere in questa dimensione, una comunità generosa, come diceva prima la vicesindaca, pronta a offrire agli interessati il nostro ambiente di vita?

Martini: Anche questo è uno dei grandi temi. Possiamo ripercorrere rapidamente la storia recente del turismo. Faccio riferimento al turismo di massa, che possiamo datare dopo il boom economico degli anni Sessanta. Il turismo per definizione è sempre stato qualcosa di estraneo alle comunità residenti, perché i turisti erano stranieri che venivano nel tuo territorio. Quindi c'è sempre stata fin dall'inizio una relazione “noi-l'altro”. Ci sono molti studi di psicologia e di antropologia culturale del turismo che dimostrano che questo ha portato spesso a delle forme di ostilità, con il turista che veniva interpretato come invasore, come qualcuno che si appropria del territorio, che non lo rispetta, come qualcuno che lascia sul territorio solamente il prezzo che ha pagato per la vacanza. Se noi sommiamo questo al fatto che in molte località lo sviluppo turistico è dipeso da investimenti esterni, da gruppi internazionali che hanno creato villaggi, residence, strutture ricettive e che hanno organizzato l'offerta come una “messa in scena turistica”, ci rendiamo conto che in questi casi la distanza è stata ancora maggiore. Questo modello di sviluppo è stato solo “uno” dei modelli di sviluppo. Ci sono stati altri modelli, che nella letteratura sono indicati come “community based”. Qui troviamo per esempio sicuramente il Trentino, l'Alto Adige e altre parti d'Italia. Qui i meccanismi sono stati diversi, con il turismo che si è accompagnato all'idea di accoglienza. Non si parla di un investimento fatto da terzi per portare sul territorio degli estranei, quanto invece di locali, magari piccoli imprenditori, che hanno visto l'opportunità di offrire dei servizi a quelle persone che anziché chiamare stranieri, abbiamo iniziato a chiamare ospiti, nel senso reale del termine. Allora se parliamo di accoglienza e ospitalità, parliamo di una cosa diversa dal “tu comperi pagando un certo prezzo un servizio di permanenza in un territorio”. Sono due cose totalmente diverse. Con l'evoluzione del turismo, mentre il primo modello oggi fa una grande fatica, il secondo è cresciuto progressivamente di valore. Tanto che oggi si parla di turismo autentico, esperienziale. Tutte cose che, se sappiamo gestirle e trasmetterle, permettono di cambiare il valore della vacanza. Quando si accoglie un ospite a casa, la prima cosa è allestire al meglio l'ambiente; poi cerchi di offrire le cose migliori: questa è accoglienza e ospitalità. Interroghiamoci se abbiamo questa capacità quando accogliamo i turisti, o se invece riduciamo tutto all'offerta di un servizio a un certo prezzo. La cosa importante è che siano tanti e che paghino il più possibile?

Franceschini: Questo si collega al terzo pilastro che sorregge l'architrave della destagionalizzazione, ovvero al concetto di ecosistema turistico. Non è un concetto ancora ben sviluppato. Cosa vuol dire? Vuol dire che dovremmo imparare a cambiare le parole, non parlare più di località turistica, di destinazione, ma di ecosistema turistico, che significa molte altre cose, un caleidoscopio di offerte. Le quali, come abbiamo visto in queste giornate, non sopravvivono senza le altre. La cultura, l'enogastronomia, l'ambiente, le tradizioni, gli sport: sono tutti tasselli di un ecosistema di diversità. Un ecosistema che è anche lavoro, è anche qualità dell'abitare, è anche infrastruttura, è anche formazione. Può essere questo un concetto importante sul quale lavorare?

Martini: Assolutamente sì. Diversi anni fa abbiamo gestito un progetto di ricerca nazionale, un progetto PRIN, in cui abbiamo lavorato sul concetto di sistema locale di offerta turistica. Un concetto molto importante, che nel tempo ha avuto un aumento di rilevanza e anche di applicazione: l'idea è che “autenticità” significa che il turismo non è una messa in scena. Cosa accade quando si entra in un paesino e leggiamo “località turistica”? Fino a qualche anno fa era un indicatore di valore; ora sembra però che quella località diventi una cosa finta, virtuale, costruita. Questo perché certe volte il turismo è un palcoscenico, dove si mette in scena una realtà diversa dal reale. Tutto oggi depone verso un recupero dell'autenticità, possibile solo se la comunità ospitante agisce, ragiona e si relaziona in questo modo. Per molti anni il turismo è stato un palcoscenico in cui ognuno recita una parte, un modello esaltato al massimo dai villaggi turistici, andando perfino a recuperare fittiziamente dei costumi locali. La stessa idea di “travestire i locali da locali” non è semplice: si recupera una cosa che localmente non c'è più. Non ci si può lamentare in quei casi se il turismo diventa finto. Per un turismo autentico servono persone che lavorano sul territorio e che credono che il turismo sia fondamentale e coinvolgente. Il turismo diventa infatti un fattore sistemico solo se coinvolge. Se invece è solo di alcuni, se riguarda solo determinate categorie e se anzi viene visto da alcune categorie come “rivale”, allora difficilmente si può parlare di un vero sistema territoriale. Prima si è detto che il turismo è un settore ormai riconosciuto, e che deve essere considerato come uno dei settori trainanti; questo lo si deve al fatto che il turismo non produce solo effetti diretti, ci sono anche quelli indiretti, indotti e di trasformazione culturale. È stato detto che il turismo è una grande ondata di energia che arriva sul territorio; se il territorio è in grado di trasformare questa energia in senso positivo, può trovare una ragione di sviluppo stabile ed equilibrata, e non invece un'occasione di sfruttamento momentaneo, che poi è quello ci porta ai picchi di stagionalità. Questo è quello che succede quando si gestisce il turismo con un interruttore del tipo “on-off”: in determinati mesi accendo le luci sul palcoscenico, in altri spengo tutto, con i paesi e le valli che ritornano alla loro condizione naturale, pre-turistica. Credo che il lavoro che si sta facendo sia esattamente questo. Non possiamo certo pensare di essere sempre “On”: pensiamo all'impronta che lascerebbe sul territorio. Ma di certo questo alternarsi di picchi e di lunghi momenti di vuoto non aiuta a dare al turismo il significato di sviluppo ecosistemico, che può avere solo come fenomeno che dura il maggior numero possibile di settimane all'anno.

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