Volevo affrontare questo intervento sia con il casco coloniale dell'antropologo sia con la grisaglia del direttore museale. Visti i tempi stretti, mi limiterò alla seconda. A essere sincero, non mi sento tanto coinvolto, se non eticamente, al tema del turismo – in un periodo così triste ci si tiene su anche a forza di paradossi. Questo perché sono convinto che il museo sia in prima analisi un laboratorio scientifico. Raccogliere, collezionare, conservare, catalogare: fa tutto parte di una grande impresa scientifica, che ci aiuta a ricostruire e a capire la realtà esterna.
Qualcuno ha detto che questo periodo terribile ci aiuta ad aguzzare l'ingegno e a capire qual è la vera natura delle cose. Sono perfettamente d'accordo. Noi tutti abbiamo visto i nostri visitatori sbriciolati, ma la verità è che il museo, né più né meno della biblioteca, esiste anche senza i visitatori, che piaccia o no, è nella realtà delle cose.
Il museo deve andare avanti con il proprio lavoro, e deve anche sperimentare attivamente tutte quelle che sono le modalità della nuova tecnologia, della didattica a distanza, della comunicazione a distanza e via dicendo. Sono tutte operazioni che riguardano la conoscenza del territorio e della realtà, che vanno a inquadrarsi in quel tipo di attenzione etica, civile e politica che ci si aspetta dal settore culturale.
Riprendendo il discorso di Michele Lanzinger, il tempo in cui si misurava la qualità del lavoro del museo in base al numero dei visitatori è fortunatamente alle nostre spalle. Questo senza dimenticare che noi, come tante altre persone e tante altre realtà più cruciali del nostro, siamo costernati per le conseguenze di questa emergenza sanitaria, con le persone che vedono idee, progetti e aspettative per quest'anno sbriciolate.