Cosa succederà quando sarà passata la pandemia? Pensiamo alla velocità dei cambiamenti che abbiamo vissuto dal lockdown primaverile in poi, con tanti diversi scenari. Capire quello che può accadere non è facile. Si va verso un approccio che viene chiamato “New Normal”: si stima che una volta passato il momento forte della pandemia si accoglierà il sopravanzare della qualità sulla quantità. In che modo i nostri contributi culturali possono inserirsi in questa nuova dimensione, dove la qualità ha un ruolo sempre più rilevante? Per certi versi è un ossimoro, perché quasi per definizione l'approccio culturale necessita un meccanismo di appropriazione, di sensibilità, di dialogo interno.
Cosa intendiamo quando parliamo di cultura? Semplificando al massimo è ciò che ciascuno di noi vive, certo, ma è anche ciò che esprime un territorio, che richiede quindi della coerenza. Quale cultura riusciamo a esprimere come territorio? Pensiamo alla cultura così come è percepita dalla popolazione, ma anche alla cultura così come è percepita dagli altri, dai visitatori. E da questo punto di vista entriamo in un discorso relativo al brand: come veniamo percepiti?
Noi operatori museali e culturali dobbiamo inserirci tra gli altri fattori di percezione. Va sottolineato che per anni abbiamo sofferto una certa pressione, di fronte a domande pressanti come “quanti visitatori hai? Qual è il tuo fattore moltiplicativo? Qual è il tuo indotto?”. Come se fosse più importante misurare i piedi piuttosto che le teste che si collegavano, le emozioni della partecipazione. Per noi diventa anche più facile fare il nostro lavoro in una dimensione sociale in cui il rapporto costruito dal museo con la comunità possa estendersi nei confronti del turista, il quale vive nella sua esperienza un vissuto contemporaneo e temporaneo con una serie di valori più ampi. Come di fatto sottintendeva prima il professor Martini, la cosa migliore che possiamo pretendere da un turista è che “parli bene di noi”. Ed è di questo che si tratta: c'è stato un meccanismo di appropriazione dell'esperienza turistica, che è più lenta, più duratura, che incide maggiormente nelle persone.
Credo che spostare l'esperienza turistica come evento verso un turismo di appropriazione di esperienza sia uno degli elementi importanti che si lega anche a questa dimensione di estensione. Una società ad alta intensità di terziario e con la possibilità di giocare su questa dimensione dello smart working, peraltro, guardare a una sorta di turismo blended, in cui la maggior presenza nel luogo turistico si accompagna a una visione family-orientend, couple-oriented.
Vivere l'esperienza ai freschi può essere quindi un modo - di minor rottura - di vivere un periodo in un contesto gradevole, salubre, attrattivo, con una buona offerta culturale che si inserisce sia nella dimensione intra muros dei nostri musei, sia nella dimensione in cui i musei, con le loro conoscenze, possono diventare forti alleati per dare strumenti di interpretazione, appropriazione e advocacy.
Ricordiamocelo, e lo dico pensando anche al libro “Salire in montagna” di Luca Mercalli: il tema di stare ai freschi rischia di diventare un tema importante. Questo perché, su tutto, la transizione ecologica è il vero obiettivo da perseguire. Affinché una transizione sia attuabile deve essere anche desiderabile, e quindi deve essere associata a una dimensione culturale. La rivalutazione della montagna può tradursi anche in un modo diverso, verso la bassa intensità numerica – in quanto distribuita sul territorio – e l'alta intensità emozionale.
