Io sono un evoluzionista: studio modelli di cambiamento. La parola cambiamento è ricorsa molte volte in questi incontri. Prima Mauro Paissan parlava di termini temporali: oggi, domani, dopodomani. Parto proprio da qui, poiché negli ultimi giorni abbiamo avuto delle novità su questi cambiamenti globali. Non sono positive, ma dobbiamo conoscerle e giocare in anticipo per saperle gestire. Come diceva sempre un mio maestro evoluzionista, “non è troppo tardi, ma è tardi”. Ce lo dobbiamo dire, per gestire e persino per trasformare in opportunità quello che sta accadendo. Lo possiamo fare e lo abbiamo già fatto, con la nostra creatività, soprattutto italiana.
Quando ci sono le elezioni, prima del voto escono le proiezioni, ovvero dei modelli su quello che potrebbe succedere. Ecco, anche con i dati climatici succede una cosa del genere, con delle proiezioni su quello che potrebbe succedere. I dati climatici reali che stanno arrivando si discostano in modo negativo dai modelli. Raggiungeremo il grado e mezzo già entro l’anno prossimo, e non entro il 2030, come previsto in precedenza; ciò vuol dire che il cambiamento ambientale globale sta accelerando.
Queste sono le leggi della fisica e della termodinamica, non possiamo farci nulla, sono così e non ci sono dubbi. Quello che ci diciamo tra colleghi modellisti in questi giorni è che ormai sul grado e mezzo è fatta, e che ci sono possibilità praticamente zero di restare sotto i 2 gradi. Nessun panico: è uno scenario negativo, dobbiamo saperlo e riorganizzarci.
Tornando a quello che diceva Paissan: pensavamo che sarebbe successo dopodomani, invece succederà domani. Dobbiamo accelerare. Per fare solo un esempio, il Mediterraneo si sta scaldando molto più del previsto, e quanto successo a Valencia e in Romagna è espressione di questo, con una bomba di energia che, al conflitto tra masse calde e fredde, scarica violentemente. L’Italia è nell’occhio del ciclone, è nel bene e nel male al centro di queste dinamiche.
Il cambiamento ambientale di questo tipo porta a tante dinamiche, a partire dai grandi spostamenti. Non si parla soltanto di migranti; anzi, principalmente si parla di spostamenti all’interno di un Paese, poi di spostamenti all’esterno del Paese, infine per l’appunto di alcune persone (si parla del 5% del totale delle persone che si spostano) che si spostano in un continente diverso; sono quelli che occupano tante pagine delle nostre cronache. Ora, con le alluvioni romagnole, si parla di displacement anche in Italia, e quindi di persone che si spostano da quelle aree. Persone che non potranno più stare dove vivono: lo sappiamo da vent’anni ma si inizia ora a discuterne sul serio, mentre in altri paesi questa è una realtà da tanto tempo. Si inizia anche a parlare di assicurazioni per le proprie case e per i propri terreni, cosa di cui si parla da vent’anni in California e in Asia.
Come possiamo interpretare il cambiamento in chiave evolutiva? Io uso sempre l’esempio del castoro. Nelle ultime tre generazioni abbiamo cambiato il mondo intorno a noi in modo molto profondo, anche nel paesaggio, nel bene e nel male. Siamo degli ingegneri ecosistemici, come i castori, che cambiano il mondo, modificano l’habitat, costruiscono dighe, aumentano la biodiversità. Loro sono degli ingegneri ecosistemi positivi, e questo ci fa capire come in realtà ci si può adattare al mondo anche cambiandolo.
Non siamo costretti a subire passivamente, possiamo modificare il mondo, anche positivamente. Siamo dei castori, ma siamo andati un po’ fuori controllo; nelle ultime tre generazioni abbiamo accelerato l’impatto ambientale, e non ci siamo accorti che quei grandissimi vantaggi che questi nuovi processi ci davano (per una parte dell’umanità) presentavano un costo ambientale nascosto, che ha cominciato a farsi vedere drammaticamente solo di recente.
Dal punto di vista evoluzionistico il cambiamento climatico è un grande esperimento di modifica che stiamo facendo dell’ambiente, e le generazioni che verranno dopo la nostra dovranno adattarsi a un mondo diverso da quello che abbiamo ereditato dalle generazioni precedenti. Come se ne esce?
Possiamo oscillare tra due visioni che non condivido. Una è quella ipertecnologica, e che dice “tranquilli, continuiamo il nostro business as usual, tanto troveremo delle tecnologie che ci salveranno”. Lo stoccaggio dell’anidride carbonica, la fusione nucleare, eccetera. Ma questa è una posizione pericolosa, non sappiamo quando avremo a disposizione queste tecnologie; se aspettiamo 20 o 30 anni arriveremo a 3 gradi, e questo non va bene per i nostri figli, per i nostri nipoti.
E c’è poi la visione nostalgica, quella di tornare a una natura vergine, primordiale, che in realtà non è mai esistita. Ancora oggi i luoghi in cui c’è maggiore ricchezza di specie non sono quelli senza umani; sono anzi quelli in cui gli esseri umani hanno fatto per tantissimo tempo manutenzione, diversificando gli habitat: quelli sono i luoghi dove c’è maggiore ricchezza. Non ce la caveremo insomma semplicemente abbandonando gli ecosistemi a sé stessi. Dobbiamo farlo facendo una manutenzione sana e lungimirante.
Quindi le opportunità che possiamo trarre da questa crisi sono diverse. L’Italia è il Paese europeo che ha la più alta biodiversità, da tutti i punti di vista possibili. Probabilmente ne abbiamo il doppio rispetto alla Francia o alla Germania. Abbiamo 132 ecosistemi diversi, un’orografia molto particolare, due catene montuose che si incrociano, tante barriere ecologiche, e siamo in mezzo a una regione ricchissima di biodiversità come è il Mediterraneo. E ancora, da sempre siamo un luogo di passaggio, da sud a nord, da est a ovest. Da qui la biodiversità pazzesca, che è sia biologica che culturale. La cosa unica dell’Italia è che unisce queste enormi biodiversità: basti pensare al cibo italiano, a una cucina che non a caso è amata in tutto il mondo. Siamo quelli che hanno la maggiore opportunità, ma anche quelli che da questo cambiamento rapidissimo hanno più da perdere.
Pensiamo ai parchi della pace in Africa, ai Peace Parks, dove si fa un turismo lento, con i ricavi che ricadono sulle comunità locali che fanno effettivamente manutenzione di quel paesaggio. E dove si fa un turismo scientifico, perché in quei parchi spieghiamo al turista cosa sta visitando, quali sono le peculiarità delle riserve e delle specie presenti.
C’è un modello famoso di Edward Wilson che, in 15 anni di lavoro, ha risposto per la prima volta a questa domanda: quanta percentuale di superficie terrestre dovremmo proteggere “debolmente” – e quindi senza andare via, continuando le nostre attività ma riducendo il nostro impatto sull’ambiente – affinché la biodiversità smetta di diminuire e torni ad aumentare? La risposta è il 50%, includendo anche i mari. Non è tantissimo. Dobbiamo proteggere la Terra per fare in modo che la biodiversità torni a crescere, con i nostri figli e nipoti che potrebbero vivere in territori con una biodiversità in crescita. Se le dai gli spazi necessari, la vita torna molto velocemente: lo abbiamo visto del resto durante la pandemia.
Il Trentino, che già oggi è virtuoso, dovrebbe spendere in prevenzione, e potrebbe averne un vantaggio competitivo notevole. Non dopodomani, ma domani, tra 5 e 10 anni. Su Science hanno calcolato quanto ci costa tutte le volte risolvere un’emergenza ambientale – un’alluvione, una desertificazione, eccetera. Ne esce un costo quantificabile, che è stato confrontato con il costo della prevenzione per ridurre di oltre la metà la probabilità che quegli eventi drammatici avvengano. Ne risulta che la prevenzione costa un ventesimo rispetto al costo dell’intervento davanti a un fatto compiuto. Lavorare di prevenzione non è semplicemente un investimento, è un risparmio secco, sicuro.
Per fare tutto questo ci vuole lungimiranza. Penso a come facevano i costruttori delle cattedrali medievali, che mettevano la prima pietra sapendo benissimo che quella cattedrale sarebbe stata completata sotto gli occhi dei figli e dei nipoti. Dobbiamo fare delle cose oggi affinché i nostri figli e i nostri nipoti possano vivere meglio e guadagnare di più.
Siamo tra i 10 paesi al mondo in cui la Costituzione tutela l’ambiente: all’articolo 9 si dice infatti che l’Italia “tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”. Questo è dunque anche un vincolo costituzionale.